Condivido! (a parte il fatto che Guazzaloca si chiama Giorgio...)
Bologna città chiusa
Non è Cofferati a essere diventato “di destra”, è la città rossa che mostra la sua pancia
Facile dire Bologna città aperta, beviamo fino al barcollo, mangiamo a tarda notte pizza bisunta o kebab innaffiato di vodka, felici e stonati sull’asfalto liquefatto. Quando poi la mattina ti alzi, e devi andare a lavorare o a comprare il giornale o magari anche soltanto a smaltire la sbornia che hai preso a forza di vedere gli altri sbevazzare, ma ti tocca cambiare strada tre volte per non sentire gli effluvi della signorile pipì di un giovane che la sera prima non aveva voglia di andare a farla in uno dei troppi bar aperti, allora viene fuori la tua vera natura bolognese: non c’è sinistra che tenga, di fronte a tanta e tale folla di perditempo. Non c’è tolleranza teorica che tenga, una volta che si scenda dal proprio salotto progressista, non toccato da cacofonie e fetori stradali, per immergersi nel marasma di piazza Verdi, ebbro di alcolici da asporto. A quel punto il bolognese progressista, dentro di sé – perché certo non può dirlo alle cene di entourage Mulino, pena il rischio di finire analizzato come degenerazione linguistica in un editoriale di Umberto Eco – saluta con un “evviva” il proibizionismo del sindaco Sergio Cofferati. Non è il Cinese ad aver subito una mutazione genetica dai tempi in cui faceva il girotondino con Nanni Moretti. E’ Bologna che, grazie a un’operazione maieutica di Cofferati, è riuscita a tirar fuori la sua vera pancia. Perché va bene essere diessini, ma qui in Emilia si lavora, si mette su famiglia, si mandano i figli all’asilo comunale, si prenotano viaggi e si passa la domenica pomeriggio in una bella libreria Feltrinelli. Non è che si abbia poi tanta voglia di difendere il bengalese a cui Cofferati ordina di chiudere il negozio di panini alle nove di sera, perché tanto la gente va lì solo per comprare bottiglie di rum. Che poi è vero che la bottega del bengalese fa comodo quando esci dall’ufficio e fa caldo e non ti va di cucinare, ma se il prezzo da pagare è finire sommersi in un grande orinatoio costellato da bancarelle che vendono le stesse cose da Stoccolma a Beirut, con quei borselli peruviani e quelle gonne indiane e quelle scarpette marocchine, allora no. Se il prezzo è rinunciare alla placida, ordinata, ricca vita da regione rossa, proprio no. Ben venga la serrata, il recinto, lo sgombero, l’ordinanza. Via i punkabbestia, che tanto li sopporta solo Romano Prodi, anche se vivono vicino a casa sua (perché c’è solo nel weekend). Abbasso la Rave parade, l’università e la marea dei fuoricorso, che se li vedessero i genitori sai quante botte. Diciamo pure “Cofferati è di destra”, in nome dei diritti del rom e del lavavetri ma poi, nell’urna, votiamo lontano da chi difende lo schiamazzo targato Dams, cioè Rifondazione. “Via la Muraglia”. E infatti Bologna stava benissimo pure con Sergio Guazzaloca, sindaco di centrodestra. Cofferati ha fatto solo emergere tutta la (sana?) stanchezza per il bivacco a oltranza. Prima ha assorbito le battaglie antischiamazzi guazzalochiane, poi ha fatto sua un’ordinanza dipietrista “antialcol” dell’assessore Silvana Mura, ora deputata dell’Italia dei Valori, a cui i centri sociali già urlavano inferociti “Via la Muraglia”. E allora si capisce che è un gioco di ruolo per accaparrarsi la vera pancia di Bologna. Che cosa ci fa ora con il Cofferati antikebab la signora Milli Virgilio, che ai tempi di Guazzaloca difendeva gli immigrati? Che cosa ci fa la destra sociale accanto ai “poveri” bengalesi contro la “borghesia” dei pub, che, con gli appoggi che hanno, continuano a chiudere tardissimo? Per quante lattine-sfottò di “birra Peròn” con la faccia del Cinese si producano, per quanti Rave si annuncino, la città rossa s’innamora pazzamente di chi coccola la legge e l’ordine.
Etichette: Bologna, Giorgio Guazzaloca, Sergio Cofferati
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